ANNO 14 n° 119
Peperino&co. La strada Farnesiana, ovvero via Cavour
>>>>>> di Andrea Bentivegna <<<<<<
07/02/2015 - 01:33

di Andrea Bentivegna

VITERBO - In passato, ad accogliere chi arrivava in città, non erano certo anonimi caselli autostradali,  e come noto, non è questo il nostro caso, o i capannoni industriali né tutt’al più precarie insegne catarifrangenti con su scritto il toponimo del caso, piuttosto spettacolari spazi urbani che destassero impressione ed ammirazione, celebrando la bellezza della città stessa. Come un ospite lo si fa accomodare nella stanza di rappresentanza della casa, quella più bella ed ordinata, così si faceva con la città, se poi la casa (e la città) in questione ''appartengono'' al raffinato e potentissimo cardinal Alessandro Farnese, come avveniva nella seconda metà del cinquecento a Viterbo, è lecito aspettarsi qualcosa di grandioso.

Dal momento che allora era ancora intatto il reticolo di stretti e tortuosi vicoli medioevali il 13 ottobre 1573 il governatore della città annunciò ''di mutare la strada romana che passava per certi lochi storti et angusti e di fare una strada diritta da la nostra piazza del Comune a la Fonte Grande''.

La scelta non fu esattamente casuale, il cardinal Farnese sta in quel periodo terminando la costruzione dell’imponente palazzo di Caprarola e così viene scelto di proseguire la strada Cimina, che conduceva a questa dimora, fin dentro porta Romana, costruendo quindi la nuova via rettilinea giù sino all’odierna piazza del Plebiscito.

Nacque così la strada Farnesiana chiamata tuttavia dalla gente strada Nova, è forse così che vi sarà capitato di sentirla chiamare ancora dai vostri nonni, mentre noi ormai la definiamo semplicemente via Cavour. Unica strada rettilinea all’interno del centro storico, rimarrà tale sino all’apertura di via Marconi nel Novecento, con la sua costruzione permise la creazione di un sistema di strade che attraverso poi l’odierna via del Corso e quindi la salita, di quella che è oggi via Matteotti, collegava idealmente palazzo Farnese di Caprarola con l’altra dimora cittadina del cardinale presso la Rocca Albornoz.

Ma non è tutto, come era stato fatto a Roma si utilizzarono alcuni elementi verticali per ''rafforzare'' anche visivamente questo nuovo disegno rinascimentale: se nella capitale furono gli obelischi a Viterbo sono le tipiche fontane a fusto, tutto il percorso Farnesiano ne era disseminato, dall’esistente Fontana Grande alla nuova fontana di piazza della Rocca per la realizzazione della quale il cardinale chiamò nientemeno che Jacopo Barozzi detto il Vignola.

L’importanza delle fontane è ben evidente proprio osservando quest’ultima che infatti non si trova al centro della vastissima piazza bensì su un lato proprio a conclusione ideale di tutto il nuovo sistema stradale che celebrava la famiglia Farnese. Questo raffinato ed articolato schema urbano è giunto pressoché intatto sino ai nostri giorni ed è l’unica, fondamentale e trascurata testimonianza di un’epoca, il Cinquecento, in cui l’Italia si è arricchita di capolavori unici e in cui Viterbo, che aveva vissuto nel tardo duecento il suo periodo di massima fortuna, è tornata a recitare un ruolo di primo piano, se non nello scacchiere politico almeno in quello culturale.

Un paragone con la città dei nostri giorni è impietoso e per molti aspetti impossibile ma una cosa sorprende più di altre, ovvero come negli ultimi cinquant’anni sia andata completamente smarrita la necessità di immaginare un accesso dignitoso alle città, certo è una questione che non riguarda solo la nostra, ma poco importa: se dovessimo fare un paragone, la Viterbo dei nostri giorni è una malandata casa costruita negli anni settanta nella quale si entra passando dallo sgabuzzino.





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